Di recente un’amica mi ha confidato le sue insicurezze, dicendomi di non sentirsi «abbastanza brava». «Brava a fare cosa?» le ho chiesto. «Be’, sai, ci sono tanti pattern che non reggo…» La sua risposta mi ha colpito. E mi ha fatto male.
Sì, la cultura delle corde (quella occidentale, almeno) dà molto valore la resistenza. Ce ne stiamo appesɜ a un alluce e continuiamo a sorridere. Sempre più veloce, più in alto, più difficile. E siamo parte del problema, quando in ogni occasione “dimostriamo” ciò che sappiamo fare. Ma non è questo il punto…
Il rope bondage non è uno sport estremo, non si basa sulla prestazione.
È una pratica intima. Esiste un’altra direzione, diversa da questa corsa forsennata: possiamo andare più lentamente, più nel profondo, con più sensibilità. Mi domando perché ci comportiamo così… È tutta colpa del modo in cui ci hanno educatɜ (o in cui ci hanno insegnato le corde), o c’è dell’altro? Potrebbe darsi che ciò che cerchiamo di evitare sia l’intimità?
Le corde rivelano quel che c’è davvero fra due persone.
Non hanno un’intenzione propria. Tutto ciò che facciamo con le corde mostra ciò che siamo e ciò che desideriamo. E si tratta di una dimensione di grande vulnerabilità. Le corde hanno a che fare con le dinamiche di potere, che tu lo voglia o no. Una persona ha le mani legate e l’altra è libera. Una agisce e l’altra riceve gli effetti di quell’azione. Se lo si sente davvero, fa paura.
Le corde sono poetiche.
Almeno per il tempo della sessione, hai bisogno di innamorarti della persona con cui leghi, altrimenti finirai solo per riprodurre solo l’ultima sospensione imparata al workshop.
Preoccuparci solo della tecnica è molto più semplice.
È un modo per nasconderci. E la tecnica è importantissima, sono la prima a dirlo. È indispensabile per rendere una sessione di corde più sicura, più profonda, più comunicativa. Ma non può sostituire il messaggio che ci scambiamo nelle corde. Il motivo per cui leghiamo. Il significato di ciò che facciamo durante una rope jam…
Non ho una risposta definitiva, su quest’argomento.
Ciò che mi preoccupa è che, persino in una pratica perversa e intima come il kinbaku, riusciamo a inserire schemi esterni e ansia da prestazione. Ci giudichiamo in base a quegli schemi, diventiamo competitivə, ed è uno dei motivi per cui finiamo per farci male. Per cosa poi? Per nulla. O, appunto, perché non ci sentiamo “abbastanza bravɜ”…
articolo originariamente apparso sul blog di Natasha NawaTaNeko il 20 aprile 2024,
traduzione di Celia Pru
«Entrare in contatto con la nostra intenzione significa andare incontro a chi siamo davvero con amore. È su questo che si fonda il nostro valore come rope bottom. Ed è ciò che possiamo offrire in dono alla persona che ci lega…»
da Stare nelle corde, pagina 19


